Bollettino dicembre 2023
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COME UN LADRO NELLA NOTTE
Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore viene come un ladro nella notte… Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno vi sorprenda come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno. Non apparteniamo alla notte, né alle tenebre: perciò non dormiamo come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri. (1Ts 5,1-2.4-6)
I primi cristiani attendevano con trepidazione la venuta nella gloria del Signore Gesù. E ricordavano bene che il paragone del ladro nella notte risaliva a Gesù stesso (cf. Mt 24,23; Lc 12,39). Si era talmente impresso nei loro cuori, da ritornare ancora per ben tre volte nel Nuovo Testamento: “Il giorno del Signore verrà come un ladro” (2Pt 3,10); “Se non sarai vigilante, verrò come un ladro, senza che tu sappia a che ora io verrò da te” (Ap 3,3); “Ecco, io vengo come un ladro” (Ap 16,15).
Dunque? “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (Mc 13,37), dice il Signore. Ma cosa significa vegliare, vigilare ed essere sobri? Vigilanza è essere svegli a sé e a Dio, è risvegliarsi dal sonnambulismo spirituale.
SCIENTES TEMPUS
Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando abbiamo cominciato a credere. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Deponiamo dunque le opere delle tenebre e rivestiamo le armi della luce. (Romani 13,11-12)
Nella liturgia cristiana Rm 13,11-14 viene proclamato la prima domenica di Avvento (anno A) dunque come nuovo inizio. Nella Vulgata ci sono due parole chiave: “Questo voi farete”, cioè vivrete nell’amore (cf Rm 13,8-10), “scientes tempus”, “Consapevoli del momento”, ma anche “conoscendo il tempo, avendo consapevolezza del kairòs, di ogni istante”. Gesù però dice: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa … Non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Dunque, come “sapere, conoscere il tempo”? “Svegliandoci, risorgendo dal sonno”, dice Paolo. Altro modo per ribadire le parole del maestro: “Vegliate dunque … conoscete …tenetevi pronti” (Mt 24,42-44).
Ecco l’impegno decisivo per l’intero nostro tempo, di cui l’Avvento è il tutto nel frammento: conoscere il tempo, personale e sociale. Non una conoscenza intellettuale, ma frutto di tutta la nostra persona, una conoscenza sapiente che nasce dall’attenzione a ogni cosa: sapere dove siamo e dove vogliamo andare; accorgersi del nostro qui e ora; vigilare con intelligenza, cioè lottare contro l’intontimento umano e spirituale; lottare per stare desti, tutti tesi verso l’essenziale. E l’essenziale è la venuta del Signore Gesù, di cui già oggi possiamo cominciare a fare esperienza, “rivestendoci di lui” (cf Rm 13,14). Certo, quell’ora non la conosciamo, ma possiamo conoscere, nell’attenzione e nella vigilanza, ogni nostra ora.
Di quanti avventi abbiamo bisogno per convertirci, finalmente? Quanti Natali ancora dobbiamo celebrare perché veramente Cristo nasca in noi? Tanti, lo sappiamo bene. Perché il nostro desiderio e la nostra volontà sono forti, ma forti sono anche le obiezioni, le distrazioni, le lentezze del nostro cuore. Tanti, perché ciò che sono quest’anno poco assomiglia a ciò che ero l’anno scorso e dieci anni fa … L’anno liturgico è come una spirale che torna sullo stesso punto, ma ad un livello più profondo e se ho il coraggio della fede e dello stupore, se ho il coraggio, ancora e ancora, di mettermi in gioco, allora posso davvero vivere una vita ogni volta rinnovata, ogni volta guarita nel profondo. Ogni anno, con l’Avvento, ricominciamo il percorso che ci fa seguire, passo passo, la storia della salvezza, la manifestazione della salvezza in Gesù. Ma non è una noiosa lezione da mandare a memoria, bensì l’esperienza in cui tutti ci possiamo ritrovare. Non giochiamo a far finta che Gesù nasca. Chiediamo che nasca nei nostri cuori, e che, ancora e ancora, venga ad abitare nelle nostre vite, nelle nostre storie.
FEDE, AMORE, SPERANZA
Rendiamo incessantemente grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori, davanti a Dio e Padre nostro, del lavoro della vostra fede, della fatica del vostro amore e della pazienza della vostra speranza, che sono opera del Signore nostro Gesù Cristo. (1Ts 1,2-3)
Una certa emozione ci coglie alla lettura di queste parole. Si tratta infatti delle prime righe del più antico scritto del Nuovo Testamento, inviato da Paolo tra il 50 e il 51 da Corinto alla comunità di Tessalonica.
E dunque anche la più antica menzione delle cosiddette tre virtù teologali. Si comincia dalla fede definita un lavoro: altro che fughe nei cieli mistici, la fede-fiducia è certamente un dono di Dio, ma richiede da parte umana di essere coltivata con estrema cura. Non diversamente da ciò che concerne l’amore: è fatica, cioè, di nuovo, lavoro. Viene infine la speranza, che richiede pazienza, perseveranza quotidiana: come restare desti nell’attesa del Signore che viene? Verso la fine della lettera, Paolo tornerà sull’argomento, scrivendo: “Siamo sobri e rivestiamo la corazza della fede e dell’amore e come elmo la speranza della salvezza” (1 Ts 5,8). Quanta semplicità e freschezza in queste parole: siamo davvero agli inizi del cristianesimo, che è e sempre sarà una bella lotta. Ci è chiesto solo di assumere una convinzione: il cristianesimo non cessa mai di ricominciare.
E’ Natale da fine ottobre.
Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sempre più intermittenti.
Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese.
(Charles Bukowski)
Natale non è una data sul calendario, ma una disposizione del cuore.
(Ermes Ronchi)