Lunedì 5 febbraio 2018
1Re 8,1-7.9-13; Sal 131; Mc 6,53-56
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono. Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.
Il Vangelo di Marco nella sua prima parte risponde all’interrogativo “chi è Gesù?”. Molta gente del suo tempo, ci viene detto, sapeva bene chi era Gesù: per molti era qualcuno a cui rivolgersi per ricevere guarigione, salvezza, speranza. Non è l’unica caratteristica di Gesù, ma certamente anche noi possiamo cercarlo, riconoscerlo e portare a lui le nostre tensioni, le nostre paure, le nostre difficoltà, senza timore, oppure presentargli le paure, tensioni , difficoltà di chi ci sta a cuore. Al resto penserà lui.
UN PENSIERO PER RIFLETTERE: Ho letto sul giornale che un bambino, a Brasilia, è stato brutalmente picchiato dai genitori. Per questo motivo ha perso la capacità di muoversi e di parlare. Ricoverato in ospedale, è stato curato da una infermiera che ogni giorno gli diceva: «Io ti amo». Anche se i medici garantivano che non poteva udirla e che i suoi sforzi erano inutili, l’infermiera continuava a ripetergli: «Io ti amo, non dimenticarlo». Tre settimane dopo, il bambino aveva riacquistato la capacità motoria. Quattro settimane dopo, tornava a parlare e a sorridere. L’infermiera non ha mai rilasciato interviste e il giornale non pubblicava il suo nome, ma qui ne rimane l’annotazione, affinché non dimentichiamo mai che l’amore guarisce. (Paulo Coelho)