n. 109 del 4 aprile 2021
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Cari amici di Mussotto, Piana Biglini e Scaparoni,
anche quest’anno la celebrazione della Pasqua è fortemente condizionata dalla diffusione del Corona virus, che limiterà la presenza dei fedeli alle celebrazioni in programma per la Settimana Santa, centrale nel nostro cammino di fede.
la tradizione millenaria della Chiesa è sempre stata incentrata sul precetto pasquale: “Confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi a Pasqua”. Esso era ritenuto come “il minimo richiesto”, come credenti nel Signore Risorto e Fedeli del Suo Corpo visibile, la Chiesa.
Il Sacramento più penalizzato è certamente quello della Confessione, già in crisi in questi ultimi anni, e reso ancor più difficile accedervi per il rischio reale che comporta nel rapporto ravvicinato con il confessore.
Proprio per venire incontro a queste difficoltà, i nostri Vescovi avevano concesso ai parroci, a Natale, la celebrazione comunitaria di questo Sacramento con assoluzione generale, rinnovata anche per la Pasqua, come potete leggere dal programma delle celebrazioni nella prima pagina del bollettino.
Ho ritenuto utile riproporvi alcune riflessioni circa questo Sacramento.
Dei 7 sacramenti, la Confessione è quello che ha avuto un percorso più complesso, e la sua celebrazione ha subito notevoli mutamenti nel corso dei secoli.
Nei primi 6 secoli era chiamato il sacramento della Penitenza, nome che è rimasto ancora oggi.
Esso era riservato ai peccati più gravi: Rinnegamento della propria fede, Omicidio compreso l’aborto, e l’Adulterio, comprendente le forme di violenza gravi come lo stupro e l’incesto.
Il fedele che commetteva una di queste colpe veniva affidato ad un presbitero che gli comminava una penitenza adeguata; partecipava alla Messa ma senza fare la comunione, e faceva parte dei peccatori pubblici noti a tutta la comunità.
Dopo aver fatto la penitenza, a Pasqua veniva riammesso a fare la comunione.
Tale Confessione veniva permessa una volta sola nella vita, per cui se la colpa era ripetuta, era espulso dalla comunità.
Dopo il 6° secolo, avviene lentamente una trasformazione ad opera dei monaci irlandesi, i quali essendo molto numerosi discendono in Germania, Francia ed Italia del Nord, per evangelizzare queste popolazioni, ed introducono delle novità molto importanti.
La confessione dei peccati viene estesa anche a colpe meno gravi, e fatta in forma privata. Assegnata la penitenza, il peccatore era riammesso subito alla Comunione eucaristica e veniva lasciata alla sua coscienza l’impegno di portare a termine la penitenza assegnata.
Inoltre la Confessione poteva essere ripetuta più volte nella vita.
L’attenzione è richiamata sulla necessità di Confessare tutti i peccati, compresi quelli veniali.
Il Sacramento viene quindi chiamato Confessione, nome che continua ad essere il più usato ancora oggi.
Se il grosso limite del primo modo di celebrare questo Sacramento era l’eccessiva severità, il rischio del secondo è la sua troppa facilità: l’importanza è posta sul confessare il peccato, senza preoccuparsi, di un vera conversione. Si incorre nel rischio della “Grazia e salvezza a buon prezzo”, visione contraria al Sacramento.
Da una volta sola nella vita, si era passato a riceverlo, in alcuni casi, ogni giorno.
Nella mia infanzia, noi ragazzi eravamo invitati ad accostarci ad esso quasi tutte le settimane.
Dal 1965, con il Concilio Ecumenico Vaticano II, esso cambia ancora nome. La riforma scaturita dal Concilio ci invita a chiamarlo il Sacramento della Riconciliazione, in quanto nel perdono dei peccati sei riconciliato con Dio, con la comunità, ferita dai nostri peccati.
Partendo dalla riflessione del Concilio Ecumenico, che invitava a rivedere il modo con cui questo sacramento era celebrato, indicava tre modalità della sua celebrazione:
La prima quella individuale, fatta con serietà, possibilmente dallo stesso confessore e con impegno preciso di rinnovamento della propria vita alla luce del Vangelo.
La seconda: celebrazione comunitaria: esame di coscienza comune, a cui segue la confessione dei peccati ai sacerdoti presenti.
La terza quella comunitaria: dopo adeguata preparazione, il sacerdote in determinate circostanze, sia per scarsità dei sacerdoti oppure per situazioni particolari, come nel capo della pandemia, con il permesso del Vescovo può impartire l’assoluzione generale.
E’ questa la situazione che stiamo vivendo, per cui i Vescovi ci hanno concesso questa facoltà: CELEBRAZIONE DELLA CONFESSIONE CON ASSOLUZIONE GENERALE.
A coloro che vi partecipano, il celebrante ricorderà che i peccati più gravi andranno nel futuro prossimo dichiarati al Sacerdoti nella Confessione individuale.
Ringrazio i nostri Vescovi per averci concesso questa opportunità, che garantisce la sicurezza della non trasmissione del Virus, purtroppo molto diffuso anche nella nostra regione.
A tutti, un sincero augurio di una lieta e Santa Pasqua,
don Franco