n. 102 del 1 Novembre 2019
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LA LETTERA DEL PARROCO
Cari amici di Mussotto, Piana Biglini e Scaparoni,
la festa di Tutti i Santi, unita alla memoria dei nostri cari, è per tutti occasione per riflettere sulla fragilità della persona umana. Il Salmo 89 è molto chiaro: la vita dell’uomo: 70 anni, 80 per i più robusti, passano in fretta e noi ci dileguiamo.
Ma solo quando si sono perse le persone a noi più care, quelle che hanno lasciato un segno forte per la loro presenza, il loro amore, la morte diventa una realtà più vicina.
In questa lettera ho ritenuto più utile per me e per voi, riportare quattro testimonianze di fronte alla morte: quella di Gesù, dell’Apostolo Paolo, del Padre della Chiesa, S.Cipriano ed infine del nostro poeta Ungaretti. Ognuno di voi accosti ad esse quelle a lui più care, come farò riportando quella di mio fratello.
GESU’.
Gesù non fa mai ricorso alla parola morte, che Egli sostituisce : “ Non è ancora giunta la mia ORA” che ricorre più volte nel Vangelo di Giovanni, fino a quella decisiva del capitolo 12,27: “ Ora la mia anima è turbata e che devo dire?…Padre,salvami da quest’Ora? Ma proprio per questo sono venuto a quest’Ora. Padre, glorifica il tuo nome”.
E’ molto umano questo grido straziante di Gesù al pensiero della morte. E’ riportato in tutti i Vangeli, ma in Giovanni arriva quasi improvvisamente e fuori dal contesto imminente della morte.
APOSTOLO PAOLO.
Sulla via di Damasco, Paolo fu conquistato dall’amore per Cristo. Nella lettera ai Filippesi scrive: “Per me infatti il vivere è Cristo ed il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti tra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
S.CIPRIANO, PADRE DELLA CHIESA (Così saranno chiamate le personalità più importanti per dottrina e Santità nei primi secoli della Chiesa).
“ E’ una contraddizione pregare che si faccia la sua volontà, e poi quando egli ci chiama e ci invita ad uscire da questo mondo, mostrarsi riluttanti ad obbedire al comando della sua volontà. Siamo presi da paura e dolore al pensiero di dover comparire davanti al volto di Dio. E alla fine usciamo da questa vita non di buon grado, ma perché costretti e per forza. Pretendiamo poi onori e premi da Dio dopo che lo incontriamo tanto di malavoglia.
Ma allora, domando io, perché preghiamo e chiediamo che venga il Regno dei cieli, se continua a piacerci la prigionia della terra?
DEDICO A CHI HA PERSO LA MAMMA O UNA PERSONA A LUI MOLTO CARA questa poesia del poeta UNGARETTI.
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, Madre, sino al Signore
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo:_ Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Non ha bisogno di commento.
Ed ora ognuno di noi vi unisca il ricordo di una persona molto cara, tra le tante che ha conosciuto.
Sette anni fa moriva mio fratello Dario, il più robusto dei fratelli, colpito da un male incurabile. L’ultimo incontro con lui lo ebbi due giorni prima di lasciarci. Mi chiese con insistenza il Sacramento della Confessione, che solitamente non lo diamo a parenti così stretti. Ne fui quasi costretto: “Voglio che sia tu a darmi per l’ultima volta questo Sacramento del Perdono”. Le sue ultime parole: chiedo perdono a tutti perché desidero morire in pace. Sovente ci penso: vorrei avere nell’ORA la sua stessa forza.
Vi auguro di non lasciare trascorrere invano queste giornate, per dedicarle alla preghiera, alla meditazione sulla fragilità dell’esistenza umana: ci aiuta a capire i fratelli ed avere atteggiamenti più benevoli verso di loro.
Don Franco